Divagazioni tra Musica, Storia, Cinema, Vita

ALLEGRETTO (Beethoven, Sinfonia Nr. 7 in La maggiore Op 92)ADAGIO (Beethoven, Klavierconzert Nr. 5 in Mi bemolle maggiore, op. 73).

ll racconto-approfondimento di una delle nostre collaboratrici, Marzia Bologna Rossi

Lo sguardo fisso è quasi perso nel vuoto del panico indomabile che lo pervade ogniqualvolta debba parlare in pubblico.  Ma “questa” volta non si tratta di un evento minore, per quanto ufficiale come molti in precedenza, e che hanno lasciato, nel pur sconcertato pubblico e in ciascun ascoltatore lontano, solo una traccia di mesta compassione.  No. Questa volta l’Evento è ben diverso, la Storia non lo avrebbe mai assolto e la Nazione si attende altro, non certo il ripetersi di due, o più, interminabili minuti di silenzio radio.

Il panico è la sfida momentanea. Ma ha dolorosamente imparato ad affrontarla. Un’altra, invece, sconosciuta e tremenda, lo stringe d’assedio. E dovrà imparare a fronteggiarla.      

Questa, forse, la tempesta di pensieri – più del consueto e fin troppo familiare panico – che turbinano nella sua mente in quei secondi, pochi ma dannatamente, disperatamente densi. (1)

Ascoltiamo l’affiorante tema fioco e sommesso, esposto, grave, dagli archi. E ascoltiamo, anche, le prime parole, incerte eppur convinte. Sì.

Violini, viole, violoncelli proseguono in un timbro ancora triste, ma più limpido e trasparente.

Le parole, sebbene ancor timide, ora fluiscono, seguendo la corrente. Lionel, formidabile uomo, terapeuta, e ora amico, di fronte a lui lo guida, incoraggia e rassicura.  Il messaggio, esaurite le premesse, procede maestoso spalancando lo scenario della tremenda decisione presa: guerra.

E il tema, da misterioso qual era, ci si svela in un solenne canto di preghiera, sostenendo il discorso divenuto ormai epico.

Il “fortissimo”, vibrante ed esteso al “tutti”, ci accomuna al fremito di angoscia muta che pervade gli ascoltatori, il popolo ormai consapevole.

Mi sono chiesta chi abbia scritto il discorso (2). Il pensiero corre a Churchill, maestro inarrivabile nell’arte oratoria, che sapeva “ mobilitare la lingua inglese”(3).

Pur con tutte le possibili varianti rispetto all’originale a me sconosciuto, se non nella presente versione ritenuta da fonti autorevoli molto fedele, mi sembra perfetto nella struttura, logicamente incisivo ed esaustivo, eticamente elevatissimo ma non distaccato, trascinante ma lucido, ufficiale eppur sapientemente colloquiale, grandioso e contenuto, memorabile e accessibile.

E a sciogliere tanta tensione, la meraviglia dell’“Adagio un poco mosso” del Quinto, con quell’entrata del pianoforte di sublime dolcezza, intima e penetrante. Anche questo movimento affida la melodia ai violoncelli quasi in sordina, che preludono all’entrata dello strumento solista con l’accompagnamento discreto dell’orchestra.

Citazione, questa, più breve e scolorante in un finale corale e momentaneamente disteso, rasserenato in un fugace scorrere di attimi, rallentato, quasi a voler fissare, in una magistrale sospensione registica nutrita di sguardi e di accennati sorrisi, un pugno di lustri che ci si era illusi potesse condurre a pace duratura, ma che si percepisce ormai perduto. 

La tragedia è già in atto e la magia del grande Cinema ha definito un nuovo capolavoro.

Amo questa travolgente, vorticosa Sinfonia, amo la danza che essa mi ispira.(4)

Ma   soprattutto ascolto con   immutati   trasporto e intensità emotiva  l’Allegretto, permeato di   contrasti,   come  anche  di  sereni dialoghi  tra  i  fiati, illudendomi di  volteggiare nell’ aria in un’ ideale  libertà dello spirito.

E prediligo la direzione di Carlos Kleiber.  Tanto astrale e raffinato, quanto schivo, e, come pochi, affascinante.

E la Settima diresse anche nel suo ultimo concerto, in Italia.

Selezionata ma eccelsa la sua discografia.

Fine anni Settanta.

Ero solita accompagnare i miei adolescenti allievi in luoghi che amo, sì, ma che ritenevo giusto far loro conoscere. Quella mattina, entrando alla Scala come previsto, incontrai una delle maschere che mi riconobbe – mi conoscevano tutte, ero sempre lì – che mi sussurrò: “C’è la prova della Bohème (?), e il Maestro Kleiber… sa com’è, se si accorge…ma se lei vuole…”

Rimasi un attimo in silenzio poi decisi. Informai della straordinaria opportunità i miei allievi, ma pretesi lo sforzo sovrumano di rendersi immateriali e invisibili. Non ci sarebbe mai più stata una simile occasione in tutta la loro vita. Calai un Asso giocando la carta epica. Conoscevano e riconoscevano in me un comandante tanto esigente quanto aperto e disponibile, e nessuno intendeva rischiare i numerosi giri di chiglia minacciati e che, sapevano benissimo, avrei mantenuto. Salimmo nel palco reale, aperto per noi sulla fiducia. Non potevo crederci ma non avevo il tempo di pensare, emozionata anch’io come loro. Speravo. Vedevo nella semioscurità i loro occhi come fari spalancati per lo stupore nel tentativo di assorbire la meraviglia che li circondava, consapevoli e rapiti.

La magìa del teatro, quale esso sia, aveva calato tutti gli Assi di cuori.

La musica e la voce del Maestro in un Scala deserta, solo per noi, beati clandestini resi immateriali dal sacro rispetto che ero riuscita a infondere in quelle giovanissime creature: un tempo che mi sembrò infinito. Ancora adesso corre un brivido.

Certo, se sola mi sarei diversamente gustata la prova e ben più a lungo, mentre invece avevo i fili un tantino scoperti, vigilavo senza parere, eccome, ma ero strafelice di quel che era stato possibile far loro vivere. Senza prezzo.   

Come non so ma riuscimmo a scendere così come eravamo saliti, corpi senza peso.

Ringraziai a dovere la maschera, che secondo me si era giocata l’impiego, rinunciai alla prevista visita all’annesso Museo, mi sembrava già abbastanza. E fummo in strada.

Circondata da una sinfonia di voci, commenti, domande che alimentavano una felicità inaspettata, mi sorpresi a godermi lo spettacolo di un entusiasmo contagioso. L’emozione era stata potente, la gratitudine gioiosa e traboccante: ricordo indelebile.

Altri tempi? Ebbene sì, e pienamente vissuti, per fortuna.

Molte le ragioni per amare questo film: la Storia, certo, e la Musica.

E si animano i primissimi, infantili ricordi di ascolto, limpidi e indelebili, quando papà suonava al pianoforte: Valses nobles et sentimentales, di Ravel: ero fra i tre e i cinque anni; Debussy  e Gershwin mi facevano  intuire il suo umore; anche Bach, ma solo  vaghi ricordi di giga e bourrée. Mi parlava di questi autori tenendomi vicino a sé alla tastiera, e spiegandomi quel che potevo capire. E così, anche per me, iniziava un percorso ininterrotto di bellezza gioia emozioni crescita curiosità scoperte riscoperte riflessioni confronti condivisioni.

Nel mio pensiero laico ho sempre considerato la Musica il posto più vicino a Dio.

Storia e Arte sono stati necessariamente approdi successivi e più consapevoli, oggi passioni a pari merito con la Musica e frequentazioni quotidiane; sono grata alla mia sensibilità sempre intensamente alimentata e che mi consente di vivere profonde, rigeneranti emozioni con una sorprendente freschezza interiore.

Adulta, ricordo il sorgere di un desiderio: avere come compagno di vita un direttore d’orchestra!

E voilà, una sera l’incontro con Marcello, che non era da meno.

Profondo e raffinato conoscitore, uomo e spirito elevatissimi – rara avis – è stato il mio Maestro, guidandomi e aiutandomi a crescere quotidianamente nell’universo musicale, ma non solo, beninteso, in un vivace arguto amorevole reciproco scambio.

Mi ha ridato la gioia di ascoltare il suono del pianoforte, che oggi, con altrettanta e rinnovata gioia, ascolto da Leonardo, adolescente e talentuoso nipote.

Ascoltare ma, soprattutto saper ascoltare, si sa, non è pratica diffusa.

Daniel Barenboim – e non occorre presentarlo – scrive in proposito, con la competenza e la lucidità della visione universale che lo contraddistinguono:

“L’educazione all’ascolto forse è molto più importante di quello che possiamo immaginare, non solo per lo sviluppo di ogni individuo, ma anche per il funzionamento della società nel suo complesso, e quindi anche dei governi. Il talento musicale, la comprensione della musica e l’intelligenza uditiva sono aree spesso separate dal resto della vita, confinate nella funzione di intrattenimento o nel regno esoterico dell’ arte d’élite. L’abilità di ascoltare diverse voci insieme, cogliendo l’esposizione di ciascuna di esse separatamente, la capacità di ricordare un tema che fece la sua prima comparsa per poi subire un lungo processo di trasformazione, e che ora ricompare in una luce differente, e infine la competenza uditiva necessaria per riconoscere le variazioni geometriche del soggetto di una fuga sono tutte qualità che accrescono la comprensione.

Forse l’effetto cumulativo di tali capacità e competenze potrebbe formare esseri umani più adatti ad ascoltare e a comprendere punti di vista diversi tra loro, esseri umani più abili nel valutare il proprio posto nella società e nella storia, esseri umani più pronti a cogliere non le differenze fra loro ma le somiglianze fra tutti.” (5)

Argomentazione esemplare.

NOTE.

1) Giorgio VI, re suo malgrado, nel film “Il discorso del re”, 2010, con interpreti superlativi in Colin Firth e Geoffrey Rush.

2) “In questa grave ora, forse la più fatidica della nostra Storia, invio in ogni casa del mio popolo, sia in Patria che Oltremare, questo messaggio, rivolto con la stessa profondità di sentimenti ad ognuno   di voi, come se fossi capace di varcare la soglia e parlarvi personalmente.

Per la seconda volta nella vita di molti di noi, noi siamo in guerra.

Più e più volte abbiamo tentato di trovare una pacifica via d’ uscita dalle differenze tra noi stessi e coloro che ora sono i nostri nemici. Ma è stato invano. Siamo stati costretti a un conflitto perché ci viene richiesto di affrontare la sfida di un principio che, se dovesse prevalere, sarebbe fatale per ogni ordine civile nel mondo.

Tale principio, spogliato di ogni travestimento, è sicuramente la mera, primitiva dottrina [ secondo cui la ragione è del più forte – NdA ] che  la ragione è del più forte. Per amore di tutto quello che noi riteniamo caro, è impensabile che noi possiamo rifiutare di affrontare tale sfida.

È a questo alto proposito che io ora richiamo il mio popolo in patria e il mio popolo oltremare a fare della nostra causa la loro. Chiedo loro di stare calmi, saldi e uniti in questo momento di tribolazione, Il compito sarà arduo. Potremo avere giorni bui e la guerra potrebbe non essere più confinata al campo di battaglia. Ma possiamo solo agire per il giusto, ciò che noi riteniamo il giusto, e con riverenza rimettere la nostra causa a Dio.

Se tutti noi rimarremo risolutamente fedeli a questo, allora, con l’aiuto del Signore, riusciremo a prevalere.”

Alle 11,15 di domenica 3 settembre 1939 Neville Chamberlain aveva annunciato alla radio che la Gran Bretagna era in guerra. Nel pomeriggio stesso il Primo Ministro aveva offerto a Winston Churchill la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato con partecipazione al gabinetto di guerra, e subito il consiglio direttivo dell’A.to aveva telegrafato alla flotta: “WINSTON È TORNATO”, notizia accolta da tutti come “una bomba di energia”. (A. Roberts, cit., pgg. 612-614)

3) Commento attribuito al Visconte di Halifax.

Winston, dal 10 maggio 1940 Primo Ministro, aveva appena terminato,  in un crescente tripudio di sventolanti foglietti dell’ o.d..g., che alla fine si erano fatti tappeto accompagnandone l’uscita dall’aula,  uno dei suoi capitali discorsi parlamentari a favore della dichiarazione di guerra alla Germania, in fierissima opposizione agli strenui tentativi di Chamberlain  –   che  rassegnando le dimissioni  per la montante sfiducia in Parlamento, e inoltre in fase terminale per un cancro  che lo costringeva alla morfina e lo avrebe ucciso  sei mesi dopo, aveva indicato, obtorto collo, lui come unico possibile candidato –  e di Halifax, suo ministro degli esteri, che non aveva mai digerito W.S.C.

Imprevedibile irascibile arrogante sfrontato insopportabile beóne, grandioso e lucidissimo στρατηγός – malgrado Gallipoli, il cui fallimento lo tormentò fino all’ultimo giorno, ma che Attlee considerava “l’unica idea strategica brillante della prima guerra mondiale” – , e molto altro ancora, aveva capito dalla prima ora ( glielo avevano e avrebbero riconosciuto tutti, non solo gli  avversari politici), le intenzioni dell’ “imbianchino”, “caporale”, “mostro”, come apostrofava Hitler nei suoi soliloqui –  inizialmente indistinti borbottii sfocianti in crescendo rossiniano nelle celebri, incontenibili furie – , ma  che non nominava mai.

I suoi contatti con Mussolini, mai chiariti completamente per mancanza (sparizione?) di documenti, lasciano intravedere possibili scampoli di qualche negoziazione, ma l’esistenza stessa del Führer rendeva tutto non negoziabile.

Negoziati, negoziare. La memoria corre ai febbrili negoziati, sull’orlo dell’abisso, che si erano svolti il 3 settembre 1939, tra le cancellerie di tutta Europa, mirabilmente descritti in un libro per me fondamentale ma semisconosciuto, preziosissima fonte, presente – come tutti quelli cui attingo –  nelle biblioteche di famiglia in prima edizione e che ho riletto più volte: L’ultimo giorno del vecchio mondo, che Adrian Ball scrisse nel 1963. Ma un altro richiamo fa capolino. (B. Tuchman, nota in Bibliografia )

E così, poco più di otto mesi dopo i fatti di cui sopra, quando l’Europa sembrava ormai persa e l’Inghilterra era sola, pressato da Chamberlain e Halifax e dopo aver acceso per un attimo nel Visconte la flebile illusione di voler accettare un dialogo con Roma, in un momento di tremenda incertezza   ( la resa di Belgio Olanda Francia, l’Operazione Dynamo – più di  330.000 soldati evacuati con la più grande flotta civile della storia -, il tragico sacrificio della guarnigione di Calais – imprecisato il  numero di morti e dispersi -, gli inutili tentativi di ottenere aiuti da Roosevelt, la possibile invasione dell’Inghilterra ), dopo tormentati giorni e notti insonni, in preda a una terribile paura, dopo aver ricevuto l’appoggio incondizionato del Re e non solo, decise che no, non si trattava. E aveva messo in campo la potenza di fuoco delle parole, da par suo, in un discorso parlamentare che definirei spartiacque.  Halifax, livido stordito e isolato nel roboante tripudio della totale approvazione, pare abbia sussurrato: “Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha spedita in battaglia.”

Altre memorande frasi in altre occasioni.

4) Così Richard Wagner, colpito dall’elemento ritmico che pervade l’intera partitura: “Questa Sinfonia è l’apoteosi della danza. È la danza nella sua massima essenza, l’azione del corpo tradotta in suoni per così dire ideali.” E l’“Allegro con brio” gli suggerì: “Con una danza agreste ungherese [Beethoven] invitò al ballo la natura; chi mai potesse vederla danzare crederebbe di vedere materializzarsi di fronte ai suoi occhi un nuovo pianeta in un immenso movimento a vortice.”

Chissà se avrebbe compreso, qualora partecipe del vorticoso esordio del XX secolo, Le Sacre du Printemps? Domanda impertinente.

5) Op. cit.,   p. 45


BIBLIOGRAFIA

Adrian Ball, L’ ultimo giorno del vecchio mondo – 3 settembre 1939 -, London 1963; Garzanti 1964

Barbara Tuchman, August 1914, London 1962, Premio Pulitzer 1963; I cannoni d’agosto, Garzanti 1963.

Memorabile libro, nel cui primo capitolo: Un funerale (pagg 9-25),  è descritta la cerimonia funebre di Edoardo VII, nel maggio del 1910, lo Zio d’ Europa, che nella sontuosa esibizione di teste coronate e parate per giorni e giorni in una Londra vestita a lutto, dichiarava tutta la sua anacronistica e paludata pletora di riti e rituali che malcelavano frizioni e fermenti bellicosi in atto da tempo, ma che la figura di Edoardo,  personaggio tutt’altro che politicamente e diplomaticamente ininfluente, aveva contribuito a tenere a bada, e che a breve sarebbero deflagrati nel Primo Conflitto Mondiale.

“Nessun altro avvenimento è stato tanto definitivo. Mi sembra che siano state spazzate al largo tutte le boe che segnavano una rotta alla nostra vita.”

Queste le parole che chiudevano, quel giorno, la pagina del diario di Lord Esher (1852-1930), aristocratico e figura di rilievo politico-militare-diplomatico.

William Manchester, The Last Lion. Winston Spencer Churchill – Visions of Glory, 1874-1932, 1983; Churchill, L’ultimo leone, Frassinelli 1985, primo volume, pag. 14.

Martin Gilbert, Churchill, La vita politica e privata, 1991; Le Scie Mondadori, 1992; Oscar Mondadori 2015: Primo Ministro, pp. 294-318

Daniel Barenboim, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, 2007

Andrew Roberts, Churchill. Walking with Desteny, 2018; Churchill – La biografia, UTET, novembre 2020


DISCOGRAFIA

L. van Beethoven, Sinfonie 5&7, Wiener Philharmoniker, Carlos Kleiber, 1975-1976, Deutsche Grammophon;  CD Amadeus, 1995. Testi di Marino Mora.

Beethoven, Die Synphonien, Berliner Philharmoniker, Abbado, Deutsche Grammophon, 1999-2000; cofanetto 5 CD  e libretto: Joseph Kerman, Beethovens Synphonien; conversazione di Claudio Abbado con Wolfgang Schreiber.

Beethoven, Concerto N. 5 in Mi bemolle maggiore, op. 73, Wilhelm Backhaus pf. with The Vienna Philharmonic Orchestra, conductor Clemens Krauss, Disco mono DECCA, London, senza data ma prima del 1954, anno di morte di Krauss.


FILMOGRAFIA

The King’s Speech,  Tom Hooper, UK, 2010

Into the Storm, (La Guerra di Churchill), Thaddeus O’Sullivan, USA – UK, 2009

Churchill, Jonathan Teplitzky, UK,  2017

Darkest Hour (L’ora più buia), Joe Wright, UK , 2017

Dankirk,  Christopher Nolan, UK – USA, 2017

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Marzia Bologna Rossi