Terzo settore, la parola al nostro Presidente

Attività musicali tra un glorioso passato e un futuro complessoA cura di Ernesto Di Marino

In un momento cruciale, in cui il governo si sta occupando di dare sostegno a tutte le imprese in conseguenza dele enormi difficoltà generate dall’emergenza pandemica, ci sembra doveroso porre l’accento anche sul terzo settore. Lo facciamo attraverso il racconto analitico del Presidente di SdC ETS. Buona lettura!


La Società dei Concerti della Spezia è nata, cinquanta anni orsono, nel momento in cui due secoli – due modi di intendere la vita associativa e culturale – vivevano un momento di notevole cambiamento (1). Nel secolo XIX, o almeno nei suoi primi tre quarti, l’attività musicale si svolgeva in due mondi separati, ancorché dotati di situazioni limitate di sovrapposizione. I ceti popolari, maggiormente attratti dalla musica lirica, avevano nelle bande musicali lo strumento prediletto per soddisfare il bisogno di conoscere e godere l’esecuzione di quanto i grandi maestri dell’epoca andavano producendo (2). Corpi militari ed enti locali erano dotati o si dotavano di complessi bandistici professionali e di grande valenza artistica: non per nulla, a questo periodo, appartengono maestri quali Raffaele Caravaglios (3) e Alessandro Vessella. (4)


(1) Cfr. François Colbert, ‘Sovvenzioni statali e mecenatismo privato’, in: Enciclopedia della musica. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, I, pp. 929-942.

(2) Cfr. Antonio Carlini, ‘La banda, strumento primario di divulgazione delle opere verdiane nell’Italia rurale dell’Ottocento’, in: Verdi 2001, Atti del Convegno Internazionale Parma-New York-New Haven, a cura di Fabrizio Della Seta, Roberta Montemorra Marvin, Marco Marica, Firenze, Olschki, 2003, pp. 135-143.

(3) Raffaele Caravaglios (1864-1941), musicista e direttore di banda. Talento precoce appartenente a un casato di origini spagnole, svolse la sua formazione musicale presso il Conservatorio di Palermo ove conseguì i diplomi di violino e composizione. Diresse numerose bande dapprima in Sicilia e successivamente nel napoletano divenendo uno dei massimi direttore e concertatore di bande italiano.

(4) Alessandro Vessella (1860-1929), musicista e direttore di banda. Cfr. Alessandro Vessella, Studi d’istrumentazione per banda, Milano, Ricordi, 1932; Alessandro Vessella, La banda dalle origini fino ai giorni nostri, Roma, Istituto editoriale nazionale, 1935; Manfredo Guerrera, Alessandro Vessella. Immagine e musica della belle époque romana, Roma, Aracne, 1999; Nicola Mario Grano, Alessandro Vessella, Nuova Santelli, 2012


Da questa attività, di alto valore musicale e culturale, discendeva tutta una serie di attività dilettantistiche e volontaristiche che continuavano l’opera di diffusione e conoscenza in un ambiente che, ricordiamolo, non poteva ancora utilizzare altri sistemi di diffusione e riproduzione della musica, quali fonografi o validi apparecchi radiofonici. Parallelamente, i ceti influenti potevano costituire e mantenere in vita, con l’impiego di opportuni mezzi economico-finanziari, associazioni musicali dedite principalmente all’esecuzione di musica da camera; spesso i concerti dell’epoca avevano le caratteristiche dell’accademia; nel senso che, in una stessa serata, venivano eseguite musiche eterogenee, vocali e strumentali, destinate per lo più alla soddisfazione del diletto dei partecipanti.

Soltanto verso la fine del secolo s’iniziò a dotare queste manifestazioni di un maggiore spessore culturale mediante una più attenta e curata scelta dei repertori da presentare.

Ad esempio, nella nostra città della Spezia, possiamo documentare il primo dei concerti di musica strumentale così concepiti risalente al 24 aprile 1888 (5); in quel giorno, infatti, al Casino Civico (6) fu eseguito un concerto monografico dedicato ai Quartetti di Ludwig van Beethoven (1770-1827). Queste associazioni vivevano dei mezzi economico-finanziari forniti dai soci tra i quali, spesso, si trovavano veri e propri mecenati. Peraltro una buona attività culturale e musicale poteva essere svolta anche con mezzi abbastanza limitati, tanto che erano molte le comunità che potevano permettersi il lusso di una vita di quel tipo. E le comunità più ricche eccellevano fino a svolgere, esse stesse la funzione tipica del mecenate.(7)

Tale modello associazionistico rimase valido e praticato anche nei primi decenni del XX secolo, ma già l’istituzione del circuito degli Amici della Musica Santa Cecilia (8) dette una scossa al sistema esistente ponendo le basi di un’attività già più connotata dalle stimmate del professionismo.


(5) Ernesto Di Marino, ‘La cultura musicale’, in: La Spezia. Volti di un territorio, a cura di Spartaco Gamberini, Bari-La Spezia, Laterza-Cassa di Risparmio della Spezia, 1992, p. 854.

(6) Il Casino Civico della Spezia era ubicato in facciata, sopra l’ingresso del Teatro Civico, allora nella veste datagli dal progettista Ippolito Cremona (1777-1844). Ernesto Di Marino, ‘La cultura musicale’, in: La Spezia. Volti di un territorio, a cura di Spartaco Gamberini, Bari-La Spezia, Laterza-Cassa di Risparmio della Spezia, 1992, pp. 835-836. Come riportato in un numero del periodico dell’Amministrazione Comunale edito nel 1933: «nelle sale del “Casino Civico”, al primo piano dell’edificio, lietamente conveniva a balli lussuosi il fiore dell’aristocrazia nobilesca e della borghesia mercantile della città» e, prima della legge che regolamentò il gioco d’azzardo, si praticava anche quel particolare tipo di ‘svago’. Nel 1865 ospitò il I Congresso nazionale di scienze naturali e lo spazio talora fu utilizzato anche per ricevere rappresentanze istituzionali italiane e dei corpi militari esteri. Il Comune della Spezia. Rassegna municipale, La Spezia, Comune della Spezia, 1933/XI n. 1 (gennaio-marzo), pp. 22, 25; E lucevan le stelle. La Liguria e i suoi teatri storici, a cura di Roberto Iovino e Marta Musso, Genova, Frilli, 2008.

(7) Segnaliamo che nel luglio 1922 fu fondata alla Spezia una sezione dell’Associazione dei Musicologi italiani con lo scopo (coerente con le finalità nazionali) di «ricercare e catalogare tutti i beni conosciuti e gli ignorati del nostro patrimonio musicale; di provvedere alla conservazione d’essi religiosamente; di trarre dall’oblìo al sole i “Monumenti dell’arte italiana”; di condurre con intelligenza di modernità una positiva azione nei dominii della musica per il perfezionamento sociale» Il Comune della Spezia. Atti e statistiche, La Spezia, Comune, 1924/II n. 1-3 (gennaio-marzo), p. 67

(8) L’Associazione Amici della musica “Santa Cecilia” fu un sodalizio che faceva capo ad un circuito nazionale istituito per la diffusione, a costi accessibili, della cultura musicale. Alla Spezia fu attiva dagli anni trenta fino al 1968. Ernesto Di Marino, ‘La cultura musicale’, in: La Spezia. Volti di un territorio, a cura di Spartaco Gamberini, Bari-La Spezia, Laterza-Cassa di Risparmio della Spezia, 1992, p. 864; Il Comune della Spezia. Rassegna municipale, La Spezia, Comune della Spezia, 1933/XI n. 1 (gennaio-marzo), pp. 29-30.


Successivamente, la cesura rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale e, poi, l’ancor più pervasivo avvento del cosiddetto boom economico scossero ancor più il mondo dell’associazionismo culturale-musicale, ponendo le basi per un’autentica rivoluzione. Intanto la diffusione degli strumenti di riproduzione della musica, in continuo e affascinante sviluppo, e la maggior omogeneizzazione delle classi sociali che, seppur non fece scomparire le differenze – che, anzi, in certi casi, aumentarono – comportò l’abbandono dell’ascolto della ‘musica in piazza’ e, almeno in certa misura, l’accesso dal basso all’associazionismo un tempo riservato alle classi dominanti.

All’epoca, siamo alla metà del XX secolo, un altro incentivo alla professionalizzazione del settore, si ebbe con il varo della cosiddetta Legge Corona (9) che, forse più per motivazioni ideologiche che per capacità di intelligenza del futuro, introdusse il finanziamento statale a favore delle attività musicali. (10)


(9) Legge Corona, fu così denominata la legge del 14 agosto 1967 n. 800 che introduceva il finanziamento pubblico, a carico dello Stato, delle attività musicali degne di supporto per i programmi presentati, esaminati da un’apposita commissione composta da musicisti, musicologi e critici musicali.

(10) «Ciò che caratterizza le aziende che operano nel campo della musica seria, è il fatto che il sostegno dello stato e dei mecenati è loro indispensabile, a causa dell’elevata incidenza della manodopera sui costi di gestione. Sebbene la dimensione di queste imprese sia altamente variabile, innanzitutto da paese a paese, ma anche in funzione delle finalità dell’organismo, resta il fatto che esse non possono sopravvivere unicamente con gli incassi della biglietteria» François Colbert, ‘Sovvenzioni statali e mecenatismo privato’, in: Enciclopedia della musica. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, I, p. 931.


Altro fattore che concorse a togliere al settore dell’associazionismo musicale le sue caratteristiche volontaristiche fu l’affermarsi del sistema di previdenza e assistenza a favore dei musicisti che, assieme ad un sempre più stringente sistema fiscale, comportò un non lieve aggravio degli aspetti gestionali delle associazioni che furono costrette a dotarsi di una almeno minima ma costosa struttura. Le ulteriori modificazioni della legge citata hanno spinto sempre più verso una aziendalizzazione delle associazioni che oggi funzionano come vere e proprie ‘piccole imprese’

E come nelle imprese classiche si può riconoscere, nella loro gestione, un ciclo economico e un ciclo finanziario, normalmente e naturalmente non coincidenti che le inchiodano ad un tipo di gestione che nulla ha a che fare con quella, volontaristica e dilettantistica, di solo un cinquantennio prima. Come normalmente avviene nella maggioranza delle imprese il ciclo economico comincia con il sostenimento dei costi – di funzionamento della struttura e dell’attività istituzionale – nella speranza del conseguimento dei ricavi.

Essi, infatti, eccetto quelli relativi alla vendita dei biglietti d’ingresso alle manifestazioni – che possiamo considerare contemporanei ai costi – si manifestano tutti successivamente, a consuntivo, sia che si tratti di contributi statali o di enti pubblici, sia che si tratti di elargizioni di sostenitori privati: tutti, infatti, per l’erogazione attendono la rendicontazione dei costi sostenuti da parte delle associazioni-imprese.

Questo andamento del ciclo economico si riflette, come è logico, sul ciclo finanziario e impone uscite anticipate rispetto alle entrate (11). A questo punto occorre ricordare come la sostituzione delle norme della cosiddetta ‘legge bancaria’ (12) con le vigenti norme nate nell’ambito dell’Unione Europea, ha comportato un notevole restringimento del credito bancario, ormai divenuto necessario per il funzionamento e, quindi, la sopravvivenza delle associazioni-imprese la cui gestione, ormai del tutto assimilabile a quella aziendale, avrebbe invece, bisogno di ben altre condizioni di accesso al credito stesso.


(11) Cfr. François Colbert, ‘Aspetti economici della vita musicale’, in: Enciclopedia della musica. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, I, pp. 943-953.

(12) Legge bancaria: con tale termine si indica il complesso delle norme contenute nel Regio Decreto Legge del 12 marzo 1936 n. 375, nel RDL 17 luglio 1937 n. 1400 e da quelle, non abrogate dai decreti citati, contenuti nel RDL del 7 settembre 1926 n. 511 e RDL del 6 novembre 1926 n. 1830 che stabilivano norme a tutela del risparmio e la disciplina della funzione creditizia.


Ne discende che quelle istituzioni che hanno la forma giuridica della fondazione e possono perciò sostenere la propria attività con la capacità di garanzia del capitale e con la forza economica delle conseguenti rendite (ma quante sono?) possono godere di gestioni tranquille e concentrarsi opportunamente sugli aspetti culturali delle stesse, con benèfici esiti sulla qualità e la significatività della propria produzione.

Le altre, che non possono fruire delle caratteristiche sopra tratteggiate, devono procurarsi le idonee garanzie oggi richieste dagli istituti di credito per concedere finanziamenti; e, per di più, sopportare l’onere economico di interessi passivi e provvigioni bancarie assortite.

Orbene, se prendiamo in esame le varie forme di garanzia che un’associazione-impresa può fornire ad una banca, ci accorgiamo che ben poche sono le forme praticabili. Infine, scartando la fidejussione di un istituto assicurativo a favore della banca – operazione di difficile conclusione e di elevata onerosità – deduciamo che l’unica forma praticabile è quella della fidejussione personale, prestata da chi si assume l’onere di voler dare vita ad una associazione di natura musicale.

A questo proposito dobbiamo osservare, come prima cosa, che il sistema esposto mette in atto una discriminazione sociale che impedisce ai meno abbienti di svolgere una certa funzione a favore della società rinviando soltanto a membri della società affluente la possibilità di esprimere linee culturali eventualmente rivolte anche a strati sociali diversi dal proprio.

A chi scrive non pare che una situazione del genere possa essere testimone né di democrazia né di progresso sociale. Come ulteriore considerazione, dobbiamo osservare che non è difficile prevedere come sarà più difficile trovare in futuro, in tutti i ceti sociali persone disposte a rischiare una personale ricchezza – sempre decrescente – rilasciando garanzia fidejussorie a favore di associazioni-imprese di carattere musicale. È infatti sotto gli occhi di tutti la tendenza all’abbandono del desiderio a rapportarsi con i propri simili per chiudersi in un isolamento individualistico, incentivato dal diffondersi dell’impero della rete digitale che uccide i rapporti umani.

Occorre, pertanto, evitare di peccare di miopia e, cercando di intravvedere il futuro che potrebbe non essere tanto difforme da quanto paventato, predisporre una rete di protezione attorno e a favore delle associazioni-imprese, tale da garantire loro un’operatività futura che oggi sembra compromissibile in tempi non eccessivamente lunghi.

La prima proposta che riteniamo possa esser fatta è quella di istituire, a livello statale e/o regionale, fondi di garanzia di cui possano beneficiare le associazioni-imprese che presentino determinati requisiti di continuità operativa, a somiglianza di quanto avviene a favore delle imprese artigiane, anch’esse, per la loro stessa natura, organismi fragili e di scarsa potenzialità economico-patrimoniale eppur considerate meritevoli di una tutela che ne garantisca la sopravvivenza.

E ciò in virtù di quanto, in termini di valori sociali – ancor prima che economici – queste aziende significano e producono a beneficio del tessuto sociale della nazione. Non vogliamo pensare che analoga protezione si voglia negare alle associazioni-imprese musicali che, forse, hanno la sola colpa di produrre il miracolo della musica che viene meno nel momento stesso in cui viene compiuto. Tale è, infatti, la musica: nel momento stesso in cui essa è eseguita, svanisce senza lasciare traccia se non nell’anima di chi ha avuto la fortuna di goderne. Altre arti producono oggetti tangibili, alcuni dei quali possono addirittura fungere da beni rifugio, apparentandosi così con l’oro. La musica no. Ma è questa una colpa che qualcuno intende farle scontare?